27/11/12

L'Esorcista (il libro) di William Peter Blatty



Si sta avvicinando il Natale e siamo tutti più buoni. Ma cominciate a tremare perché tra poco è il 40° anniversario de L’Esorcista, film del 1973 diretto da William Friedkin
Tanto si è detto, tutto e pure troppo rispetto a quello che oggi è considerato uno dei film più belli (e spaventosi) del cinema horror. La Warner farà i suoi omaggi con un’edizione che uscirà nel 2013 ed è ormai ufficiale la notizia di una serie televisiva che vede per ora la firma di Sean Durkin alla regia e Roy Lee come produttore.
Non credo esista persona al mondo che non conosca il film, e, se non l’ha visto per evitare notti insonni, non abbia in mente almeno qualche fotogramma oppure qualche scena tratta dallo stesso; per non parlare poi delle parodie che pure lì si son sprecate. Detto questo, quando si parla de L’Esorcista pensiamo subito al film e meno al libro da cui è stato tratto. Un classico che mi mancava, così l’ho recuperato.

In entrambi i casi (film e libro) siamo indiscutibilmente di fronte a un horror. Ma tolta l’etichetta (se proprio dobbiamo) ci troviamo di fronte a un’eccellente opera cinematografica da un lato, letteraria dall’altro. 
È quasi inutile dirlo, ma William Perter Blatty scrive bene. L’orrore si fonde e si mischia con una forma letteraria che a tratti riesce a raggiungere vette altissime. Un esempio su tutti, cito l’inizio:
“Come l’effimera e fulminea fiamma di un’esplosione di soli lascia soltanto bagliori indistinti sulla retina di un cieco, così il momento in cui l’orrore ebbe inizio passò quasi inosservato. Fu dimenticato, infatti, perduto nel frastuono di ciò che seguì, e forse non fu affatto messo in relazione con l’orrore. Era difficile da valutare.”
Con questo non voglio dire che il genere sia altra cosa dalla letteratura, di serie B come dicono alcuni. Sono discussioni vecchie e superate, a maggior ragione poi che esistono presunti “letterati” che in molti casi si esprimono con una sintassi da terza elementare e vengono scambiati per grandi scrittori.
L’effetto che crea Blatty, raccontando di un caso di possessione con una scrittura elegante e consapevole, è unico: contrariamente a quello che ci si aspetta, il libro spaventa ancora di più rispetto al film. Infatti non appena prendiamo il volume in mano pensiamo di essere preparati visto che abbiamo retto di fronte alla pellicola. Almeno questo è ciò che ho pensato io. 
In realtà mi sbagliavo. Oltre a raccontare la storia che conosciamo tutti, Blatty, da abile narratore indaga tutta una serie argomentazioni che portano alla conclusione che fa più paura di qualsiasi spaventerello cinematografico: Satana esiste. Punto. 
Per restare in argomento, proprio come fa la teologia negativa che si propone di arrivare al Bene o all’essenza di Dio tramite il metodo della via negationis - e cioè dire che cos’è Dio partendo da quello che non è - l’autore fa più o meno lo stesso per il concetto del Male. 
Il personaggio di padre Karras è un prete la cui fede è piena di dubbi ed è per questo che si appoggia così saldamente alla scienza, nel suo caso a quella psichiatrica. Seguendo i suoi pensieri e la sua ossessiva ricerca per dimostrare che quello di Regan in realtà non è un reale caso di possessione, ci ritroviamo senza accorgercene intrappolati in una coltre orrorifica che va al di là del genere.  
Questo naturalmente è solo uno dei tanti aspetti presenti nel libro che una volta letto faremo fatica a dimenticare. Non solo per la sua capacità di spaventare, s’era capito, ma per avere il merito di essere un classico, autentico capolavoro che racconta la storia più antica del mondo: la lotta tra il Bene e il Male.

Nessun commento:

Posta un commento