20/10/12

Cogan (Killing them softly) - recensione



Per racimolare un bel gruzzolo, un gruppo di criminali da quattro soldi decide di rapinare una bisca clandestina. Secondo loro è un’ideona perché tempo prima Mike Trattman, il gestore e organizzatore delle bische, aveva già fatto un colpo del genere rapinando i suoi stessi clienti. In questo modo i sospetti cadranno nuovamente su di lui e nessuno darà la caccia a delle sconosciute mezze tacche. In realtà non andrà proprio così perché il colpo infastidisce naturalmente molte persone e per sistemare le cose viene assoldato Jackie Cogan, killer professionista dalla mano fredda interpretato da Mr. Pitt.
Tutto qua. La trama di Cogan ruota solo su questi elementi e fondamentalmente si basa sui personaggi (e che personaggi), sui dialoghi e un paio di sequenze d’azione da grandissimo cinema.
Nonostante la rarefazione della storia, il film di Andrew Dominik è carico di significati. 

Certo, è facile in film di questo tipo vederci un po’ di tutto ma è più che evidente il riferimento sociale e politico che fa da contrappunto alle vicende dei personaggi. 
I discorsi in tv e in radio di Obama e McCain che nel 2008 correvano per la presidenza, accostati alle vicende dei criminali creano uno strano effetto di immedesimazione. La crisi sta per arrivare, noi lo sappiamo, e lo avvertiamo con chiarezza nel momento in cui Brad Pitt decide chi e come uccidere nel dialogo con il suo committente dentro un’auto di lusso mentre fuori c’è il temporale: “Sta per arrivare la peste”, dice.


I soldi sono l’unico metro di misura delle vite dei criminali, protagonisti di una tragedia più che di un gangster movie. E per questo motivo i valori umani sono azzerati: uccidere è un lavoro qualsiasi dove i killer sono persone con problemi proprio come i nostri. 
Fa sorridere, ma riempie anche d’amarezza il dialogo tra Cogan e Mikey, interpretato dal bravissimo James Gandolfini nella tavola calda dell’aeroporto: Mikey è un killer “che ha bisogno” di lavorare e a un certo punto Cogan, preso da un impeto di umanità gli chiede se vuole fare una doppia, cioè uccidere due persone anziché una. Se ne ha bisogno, si può fare questo “favore”. Sembrano due rappresentanti, in realtà sono ben altro.


La condizione umana è al livello più basso e i personaggi, tutti, sono presi all’amo oltre che dalle difficoltà della vita, dall’irrazionalità della stessa. Da qualcosa che si sono scelti ma non fino in fondo e che li fa comunque tirare avanti. 
Non aspettatevi un classico film di genere. A Dominik non interessano le dinamiche di plot e le tecniche per tenere lo spettatore incollato alla poltrona. Non passa tanto dalla porta principale per comunicare con lo spettatore quanto invece dalla porta di servizio affidandosi al suo istinto autoriale e alle sue indiscutibili doti registiche. 
Un bel film dunque, di quelli che riescono colpire zone emotive sconosciute. 
Non per tutti. 

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