22/04/12

Recensione di To Rome with Love: salvatevi finché siete in tempo.


Il quarantaseiesimo film di Woody Allen, come si sa, è girato interamente a Roma. Rientra nel genere di quei film a episodi o 'multistrand', dove varie linee narrative separate le une dalle altre vengono tenute insieme da un unico tema. In questo caso si potrebbe dire che il film parla della vanità, dell'irresistibile fascino che hanno sull'uomo il successo, la fama e il denaro. Ognuno dei quattro episodi che racconta Allen, declina a modo suo questa tematica. E fin qui tutto bene.
Ma il significato della parola vanità è anche un altro: tutto ciò che è inconsistente, infondato e inutile. Tre parole che definiscono alla perfezione questo film.

Inconsistente: l'occasione per raccontare qualcosa di interessante c'era pure. Non bisogna mica confondere la profondità di un film con l'erudizione, cosa che Allen fa se non sempre, molto spesso. Se quello che racconto muove delle corde, se fa pensare anche mezzo minuto o se lascia qualcosa, qualsiasi cosa a qualsiasi livello allora ha un senso. A prescindere dal genere. 
Com'è noto Allen la butta in commedia, cosa che gli riesce meglio, ma questo giro ha veramente toppato. Non solo tratta tematiche importanti con una superficialità da terza elementare, ma non fa nemmeno ridere. A essere proprio onesti qualche momento divertente c'è; non basta però a giustificare gli otto euro che rivoglio indietro.

Infondato: qualsiasi racconto deve avere una coerenza, che sia reale o meno. Della realtà al cinema non frega niente a nessuno se non che lo spettatore vuole (giustamente) credere a quello che vede. Midnight in Paris ad esempio (che infatti m'era piaciuto), racconta una vicenda sì irreale, ma verosimile. Tu in quel caso credi alla premessa della carrozza che passa a mezzanotte per le vie di Parigi e trasporta il protagonista nella belle époque, perché è sviluppata in modo verosimile. Voglio dire, non è che a metà film arriva Napoleone senza un motivo. 

CIAO, SONO NAPOLEONE SENZA UN MOTIVO
In To Rome with Love invece accade tutto senza un motivo. Leopoldo Pisanello (Benigni) viene colpito da un'improvvisa popolarità. Ma perché? Solo perché è una metafora? La metafora deve essere filtrata da qualcosa, sennò diventa puro cinema sperimentale, o una raccolta di poesie, non certo una commedia per il cinema.
E l'architetto che interpreta Alec Baldwin non è da meno: in vacanza a Roma diventa la proiezione mentale di uno studente. Potrebbe anche starmi bene, ma quando senza un motivo diventa la proiezione di altri personaggi, no.

Inutile: vedi sopra.

Per non parlare poi dell'immagine di Roma ferma agli anni 50/60, di vestiti che ormai si vedono solo nelle vecchie fotografie, di cantanti lirici e impacciatissimi migranti friulani. Ma soprattutto di vigili urbani che aprono addirittura il film. Siamo onesti, a voi i vigili hanno mai fatto ridere?


5 commenti:

  1. Sinceramente ho visto questo film con "altri occhi".
    l'arte è un qualcosa di ingiudicabile sennò da chi la vede e la sente.la tua recensione è alquanto superficiale a mio avviso e non hai minimamente colto le sfumature giudicandolo sulla base dei soliti clichè cinematografici,ovvero,un film deve avere certe regole e solo quelle.Alla base di questo film ci sono delicati meccanismi cerebrali che portano ad aprire la mente su argomenti a noi "tanto cari" in quanto,non sempre ma con triste frequenza,paese di lobotomizzati.per questo non è un opera facile e per questo molti non gradiranno ma ne consiglio comunque la visione nella speranza che qualcosa si "sblocchi" nello spettatore.Francesco.

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    1. Non parlo di diktat che un film deve avere, ci mancherebbe. Io ho cercato di dire perché il film non mi è piaciuto. Come tu hai fatto con le tue argomentazioni, io ho fatto con le mie. Firmandomi con nome e cognome.

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    2. Giusto.
      Apprezzo le tue ragioni ma volevo farti notare che,secondo me,nel film c'è più di quel che si può vedere.Sicuramente si può essere fuorviati andando al cinema con l'idea di vedere una commedia (che poi non è se non a piccoli tratti).
      Ripeto:secondo me.E credo di aver capito gran parte del modo in cui è stato girato il film e i suoi molteplici significati che poi portano ad un unica strada.Non sono un critico ma spero comunque di poter cogliere lo spirito e i colori di c'ho che vedo e sento.
      Francesco Popolo.

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  2. Vorrei giustificare il mi dissenzo con una mini recensione ,se così si può chiamare,per spiegare i punti che secondo me non sono stati compresi:
    Il film non vuole raccontare Roma ma l'Italia che rappresenta nella sua forma piu bella.La Roma città che ricorda i momenti di gloria del cinema Italiano e la sua rappresentanza a livello mondiale del bel paese.Ecco quindi gli abiti di un tempo a sottolineare il periodo dell'Albertone nazionale e i candidi riferimanti dell'Italiano innocente e dal grande cuore.Come a dire,comunque,che il nostro bel paese è meglio ricordato in quei tempi e che oggi poco si rappresenta.Ma dietro l'angolo ecco apparire,implacabile,attuale e insita nel nostro modo di essere,la voglia di egocentrismo e debolezze che il film rappresenta.Il successo senza dover faticare per raggiungerlo e senza saper far niente,il voler realizzare i nostri sogni sulle capacità di qualcun altro,il sospetto che l'erba del vicino è sempre più verde e ,infine, che da soli non riusciamo ad uscire dai nostri,anche piccoli,problemi.Ma il film,appunto,nel finale chiarisce ogni dubbio:abbiamo già tutto quello che ci serve per tornare ai fasti di un tempo.siamo un popolo che ,come tanti,ha bisogno di provare e di sbagliare prima di accorgersi di quello che ha.di quello che siamo.di quello che amiamo. Francesco.

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