24/01/12

Perdido Street Station di China Miéville

Inevitabile non essere incuriositi da questo scrittore che sta cominciando a circolare in Italia grazie alla casa editrice Fanucci. Innanzi tutto il nome: China: “ma che è cinese?”, dice una parte di te che metti subito a tacere. Miéville: “non sarà parente di, ah no, è Melville quello di Moby Dick”. Incuriosisce il personaggio, che è questo signore qui:


E incuriosisce la sua vita: inglese, da giovanissimo ha vissuto in Egitto, attivo politicamente. Incuriosiscono i suoi intenti letterari che poi sono quelli del movimento di scrittori definiti New Weird: affrancare il fantasy dai soliti cliché di orchi, nani ed elfi. E naturalmente, incuriosiscono i suoi libri.

È in questa cornice che andrebbe messo ‘Perdido Street Station’. Un tomone di 800 pagine primo di una trilogia ambientata nel Bas-Lag. Un mondo immaginario, un’Arda tolkeniana che di Tolkien ha ben poco se non una vastità di razze intelligenti e leggi della natura che vanno al di là della fisica come noi la conosciamo.
Il fuoco della storia di 'Perdido Street Station' è una minaccia che incombe sulla città di New Crobuzon: falene di due metri che si nutrono, sostanzialmente, dell’inconscio delle persone. Saranno lo scienziato Isaac e i suoi improbabili compagni a dover trovare la chiave per impedire il collasso della civiltà. 
Il pregio di Miéville è quello di dare libero sfogo ad immagini, storie ed intuizioni più che brillanti: la storia d’amore tra il protagonista e Lin, donna-scarafaggio la cui anatomia è descritta con una tale precisione tanto da farcela sembrare esistente, la teoria dell’energia di crisi, gli uomini cactus e il Grande Tessitore: un ragno metafisico che gioca con i destini di tutti gli esseri viventi, e poi i Rifatti: esseri umani costretti a subire una sorta di contrappasso chirurgico... insomma tutto questo (e molto, molto altro) non può che affascinare un lettore curioso. 
Purtroppo però, nel caso di 'Perdido', la curiosità diminuisce con l’aumentare delle pagine. Perché la materia narrativa è fatta sì di colpi di genio, ma anche (e soprattutto, quando si fa genere) dalla capacità di saperla gestire. Miéville riesce nell’intento di creare dal nulla (o quasi) un mondo in cui vogliamo realmente immergerci. Ci dà delle mappe precisissime dentro cui muoverci, ci fa empatizzare con i personaggi quando ad un certo punto la strada emotiva del lettore si perde nei meandri della prolissità. Le descrizioni si fanno ridondanti e la comparsa di nuovi elementi ingolfano una storia non più calda, ma surriscaldata. 
Miéville in questo romanzo riesce a mettere in vetrina una serie di idee che attirano l’attenzione. Ad un certo punto viene anche l’acquolina in bocca. Entriamo nel negozio. E facciamo un indigestione di fantasy/steampunk/action/sci-fi/horror/romanzo politico e magari qualcos’altro. 
Resta il fatto che per i grandi appassionati del fantasy questo libro è caldamente consigliato. Per chi come me invece ha capito la grandezza di questo scrittore e vuole lasciarsi guidare all’interno di una storia un po’ più compatta e snella, forse è meglio mettere nella lista ‘libri da leggere’ l’ultimo edito sempre dalla Fanucci, ‘La città e la città’. 

Nessun commento:

Posta un commento