20/01/12

Player One di Ernest Cline - recensione romanzo



La premessa di Player One (Isbn Edizioni) passa quasi inosservata: in un futuro devastato da guerre e carestie, gli abitanti della terra preferiscono vivere su una grande piattaforma virtuale chiamata Oasis. Ovunque essi siano, inforcano visori, guanti e nel migliore dei casi tute aptiche, poi interagiscono con un mondo che non esiste. Nella storia il multimiliardario che ha inventato Oasis muore, lasciando in eredità il suo impero a chi risolve gli enigmi nascosti dentro il mondo virtuale. 
La premessa poi, si sviluppa così:


per risolvere gli enigmi di Oasis e arrivare alla ricompensa finale occorre avere una conoscenza al limite del maniacale dell’immaginario pop anni ’80: si dovranno superare prove all’interno del film Wargames nei panni di Matthew Broderick, fare strage di replicanti nell’edificio a forma di piramide di Blade Runner, giocare la partita perfetta a Pac Man e sapere tutto, ma proprio tutto sull’intrattenimento ludico statunitense e nipponico degli anni in cui gli Wham! erano gli interpreti canori principali. 


La novità squisitamente di genere che introduce l’autore Ernest Cline non sta tanto nei contenuti, quanto invece nell’usare un contenitore come la fantascienza per portare il lettore nel passato. Un passato che non è raccontato né descritto, ma solamente evocato con continui rimandi alle serie tv, videogiochi, giocattoli, musica e film degli anni ’80. Ernest Cline (già sceneggiatore di Fanboys) non risparmia nulla e appena può si spinge oltre facendo rivivere (letteralmente) nelle pagine personaggi di serie e videogiochi oggi dimenticati. La differenza la fa la sua enorme passione, la grazia e l’autenticità con cui scrive dell’intrattenimento che ha riempito i pomeriggi di quelli che quando ascoltavano Raf cantare ‘cosa resteràaaaaa...’ in fondo già c’avevano un po’ di malinconia.
Ernest Cline viene da quel tipo di cultura, che ama profondamente e senza vergogna (Star Wars ad esempio è una cosa, ma tutt'altra è vedere Sandy Marton suonare la tastierona di plastica con indosso una delle sue giacche dotate di spalline grandi come un transatlantico). Scrive una storia che si beve come un’Orangina e risveglia i migliori ricordi che abbiamo. I nostri ricordi personali. 
Se negli anni ’80 eravamo appena nati, se eravamo piccoli o grandi non importa. Per apprezzare appieno questo libro basta esserci passati. E se non ci si è passati non è detto che non possa piacervi, ma sinceramente non so come cavolo possa emozionarvi.
A prescindere dal tasso di nerditudine che implica la lettura di Player One, è garantito che ognuno di voi (rigorosamente figlio degli anni ’80) troverà tra le righe la propria Ratatouille. Ricorderete lo spietato critico culinario che non appena assaggia la pietanza fatta dal topolino chef ritorna alle sue radici. Ecco. Mentre leggete Player One tornerete a quel pomeriggio piovoso quando vostra madre vi preparava il Ciobar di là in cucina e voi aspettavate impazienti la sigla di Mazinga Z.



Oh, sia chiaro, nel libro non c’è Raf. Né Sandy Marton. 
Gli Wham! però sì.

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