18/05/15

Mad Max - Fury Road / recensione



Accadrà, come nei film di Hitchcock, che si studierà Mad Max - Fury Road inquadratura per inquadratura. Frame by frame.




È proprio Hitchcock che George Miller cita nelle interviste in occasione dell'uscita del film: "Una delle idee alla base di Mad Max è legata a ciò che diceva A. H., secondo il quale bisogna realizzare film che possano essere visti ovunque nel mondo, senza bisogno di sottotitoli". Questa è la summa e tutto (be', quasi) quello che serve per sapere che cos'è e come si deve pensare a un racconto per il cinema.

Fury Road raggiunge la sua quintessenza e ci riporta agli albori del mezzo e linguaggio cinematografico. Proprio come con Ejzenstejn, il nuovo Mad Max usa il montaggio come creazione di senso e contenitore universale, oltre quello che abbiamo visto finora. E se la Corazzata Potemkin (sì, la "cagata pazzesca") racconta la rivoluzione russa, Fury Road racconta la rivoluzione di donne schiave in fuga da uno spietato e mostruoso tiranno. 
Perché il cinema è un atto rivoluzionario. Non nel senso politico, la politica non deve interessare al cinema, ma nel senso ultimo di altra, intensa, esperienza. Questa, per l'appunto, la motivazione per cui negli States è stato vietato ai minori: "film troppo intenso". Intenso. E Miller, naturalmente, tutto contento: "era proprio quello che volevo, è una rock opera e deve essere intenso!".
In Fury Road è successo qualcosa che segnerà lo spartiacque cinematografico, da qui ai prossimi vent'anni. Sì ok, con il primo Max è già successo ma questa è un'esperienza totale, innegabile, iniziata proprio nel 1979 con la versione beta di quello che Miller ha realizzato oggi. 
Un'infinità di dettagli raccontati in fotogrammi, continuo, incessante movimento, bombardamento di colori, suoni, vibrazioni. Ma attenzione, mai a caso, tanto per fare i fracassoni. Qui c'è una sapienza cinefila, illuminata, futurista. Guardate, solo per fare un esempio, in che modo viene messa in scena la backstory di Max. È come se vi dessero scosse elettriche prima di morire, come se la vostra vita vi passasse davanti in una frazione di secondo, ma state vedendo "solo" un film.
Fury Road parla all'inconscio senza il bisogno di usare strutture o modelli del racconto. Li usa, ma a un altro livello.
Per certi versi siamo dalle parti di Luis Bunuel, per poi prendere il volo e spostarci su quell'immaginario che Miller ha creato (sempre sul finire dei '70) per il post apocalittico dicendo tutto quello che doveva dire il genere. 
Qui ha fatto un passo ulteriore rendendoci parte di un atto rivoluzionario (intenso) ed esaltante. 
Altre parole, non servono. Non questa volta. 


ESEMPIO DI ROCK OPERA INTENSA

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