05/03/12

'Knockout' di Steven Soderbergh - recensione -


Steven Soderbergh è nel periodo più prolifico della sua carriera. Non che avessimo dubbi: i suoi 25 film in 23 anni di professione dimostrano un’attività registica pari a quella di pochi altri nella storia del cinema. ‘Knockout’ uscito nelle sale italiane il 24 febbraio è il terzo film girato nell’arco di un anno, una vera e propria ‘produzione industriale’, la sua, verrebbe da dire. Ma se guardiamo le pellicole e non solo i numeri ci accorgiamo di essere di fronte ad un cinema molto lontano dal concetto di ‘industria’. 
Certo, Soderbergh è quello di ‘Ocean’s eleven’ e vari seguiti. È quello di ‘Erin Brockovich’. È il regista che in un colpo solo riesce a far recitare insieme una quantità di star che si vedono nell’arco di cinque o sei film. Sì, questa è industria. Il nostro Soderbergh però ci entra per farne parte e poi, come dimostra la sua storia, fa come gli pare. 
Ulteriore prova è ‘Knockout’, un action-thriller che sulla carta si presenta così: l’agente segreto Mallory Kane (Gina Carano) si occupa di missioni scomode che il governo affida a un’agenzia privata il cui capo è Kenneth (Ewan McGregor). Quando l’agente Mallory scopre di essere stata tradita dalla sua agenzia, decide di vendicarsi del suo stesso capo. A parte qualche altra sfumatura, la storia non è niente di più e niente di meno di questo. 
Se aggiungiamo poi che per metà film è persino confusa, complice un racconto che procede a flashback e che rimanda a sua volta a backstory del tutto oscure, capiamo di trovarci di fronte ad un film di genere che con il genere c’entra poco. 
Eccolo qua, Soderbergh. Interessato a fare cinema prima di fare un ‘prodotto’, interessato a raccontare il sottotesto prima di una storia che ‘funzioni’. Può piacere oppure no, ma è innegabile la scelta di prendere un genere cinematografico e raccontarlo con un tono iper-realistico e coerente dall’inizio alla fine. Ogni scena d’azione, ogni scena di combattimento è concepita per creare l’effetto verità. E il risultato è sorprendente: l’assenza totale di computer grafica e di controfigure, l’uso sapiente e geniale della macchina da presa da un punto di vista della spettacolarità riescono a fare meraviglie. 
Insomma, nonostante l’apparente confusione narrativa nella prima parte del film, crediamo a tutto quello che succede. Tanto più se Soderbergh usa il personaggio di Mallory per fare una riflessione sul ruolo della donna in un mondo prevalentemente maschile e maschilista. Una riflessione molto precisa. Infatti, Kenneth e Paul (interpretato da Michael Fassbender) ad un certo punto dicono:
    - Non ho mai ucciso una donna.
    - Non devi pensare a lei come una donna, faresti un grosso errore.
    L’errore non è solo grosso, ma fatale: Gina Carano nella vita reale è stata una campionessa di arti marziali. 
    E una che mena così, non l’avete mai vista.



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