22/02/12

'Henry' di Alessandro Piva - recensione -

A un anno dalla presentazione al Torino Film Festival (e relativo Premio del Pubblico) il prossimo 2 marzo esce nelle sale ‘Henry’, di Alessandro Piva. Lasciando da parte i misteri della distribuzione italiana, ‘Henry’ è un film che cerca di scoprire il velo del silenzio che si era posato sulla campionessa dei pesi massimi di tutte le droghe: l’eronia. 


La pellicola, oltre ad inserirsi nel filone dei drug films (e sono più di quelli che ricordate, controllate QUI) dà voce ad un fenomeno che sta tristemente prendendo piede. L’eroina è stata definita come la droga degli anni ottanta, i media ne hanno parlato per un po’ e poi via a rubarle la scena c’ha pensato la cocaina. Con l’arrivo della crisi però, come si può leggere in questo articolo su Repubblica, la droga degli anni ottanta (o ‘henry’ come viene chiamata in gergo, da cui il titolo) è tornata: costando più o meno la metà ne è aumentato il consumo. Della serie che l’economia non guarda in faccia a nessuno: le regole di mercato valgono anche per queste cose.

La storia di ‘Henry’ parte con un duplice omicidio ai danni di uno spacciatore e sua madre, la cui arma del delitto è innegabilmente simbolica: un posacenere, ma non uno qualsiasi: una riproduzione del Colosseo. Siamo a Roma infatti, che Piva rappresenta come un girone dell’inferno. Vittime del narcotraffico, spacciatori, poliziotti: tutti loro sono in qualche modo ‘dannati’. Schiacciati da qualcosa che sì, si sono scelti, ma poi li ha travolti come una valanga. Non resta che giocare il proprio ruolo fino in fondo e cercare la redenzione altrove. E il posto che sceglie Piva è davanti alla cinepresa:

La narrazione infatti segue i canoni del noir, poi di tanto in tanto viene interrotta dalle ‘confessioni’ dei protagonisti. Sospesi in un limbo, intrappolati nella pellicola, parlano allo spettatore ma soprattutto a loro stessi. Nell’astrazione diventano reali, e questo a mio avviso è l’aspetto più genuinamente autoriale del film. Una scelta registica che non ci allontana ma al contrario riesce a creare empatia. Riusciamo a capire i personaggi, a leggere i loro pensieri, le emozioni e il loro disorientamento: “hanno bombardato Roma di eroina (i narcotrafficanti), e aiutano gente come me a passare il tempo” dice Rocco, uno dei protagonisti interpretato da un magistrale Pietro De Silva.

Tolto il velo del silenzio dunque, non rimane altro che la condizione umana. Che sia migliore o peggiore di come ce la immaginiamo, sta solo a noi deciderlo. 

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