Dopo quel 'piccolo' gioiello di Player One di cui vi ho parlato QUI (e di cui Spielberg sta girando il film), Ernest Cline sforna un altro romanzo di fantascienza: Armada. La storia è quella di Zack Lightman, un abile videogiocatore che un giorno fuori dalla finestra della sua classe vede un disco volante che lui conosce molto bene: si tratta di un “Glaive Fighter” astronave aliena nemica del celebre gioco, Armada appunto, che dà il nome al libro. Un videogame nella realtà e la realtà in un videogame, questo è solo l’inizio di un’avventura che porterà il giovane Zack alla scoperta di piani militari e cospirazioni governative piuttosto creative per affrontare una misteriosa razza aliena...
Di più non si può dire per non rovinare la lettura a chi, come me, aspettava questo libro da un po’. Ma se aspettate che venga tradotto in italiano incrociate le dita. Dopo l’affaire ISBN a oggi non si hanno notizie di un’eventuale edizione italiana. L’unica rimane la lettura in lingua.
Allora. Se prendiamo Armada da solo si potrebbe definire un buon romanzo di fantascienza per ragazzi, un prodotto d’intrattenimento che affonda le sue radici nella cultura anni ’80, ormai cifra stilistica di questo autore che se ne va in giro con la sua DeLorean.
Se invece lo prendiamo come secondo romanzo di Cline, successivo a Player One, purtroppo dobbiamo ammettere che l’operazione è meno riuscita. Nel primo l'autore ha trovato una chiave geniale per aprire il personale universo nostalgico, suo e di tutti quelli che sono cresciuti a pane e Lucas, videogames e cartoni giapponesi.
Qui invece, in Armada, l’operazione nostalgica è fine a se stessa. Non c’è una chiave per entrare, nessuna metafora: le citazioni e i riferimenti che ispirano il romanzo lo fanno diventare una sorta di reboot di Ender’s Game, The Last Starfighter (Giochi Stellari), e in buona parte The Day the Earth Stood Still (Ultimatum alla Terra). Per dire i principali.
Sia chiaro, il romanzo è godibile e l’immaginario che evoca, nel modo in cui Cline lo evoca, riesce sostanzialmente a emozionare e divertire. Ci sono certo delle belle trovate. Che però divertono solo perché parliamo lo stesso linguaggio: c’è Star Wars, Independence Day, e Matrix e Twilight Zone e Contact e chi più ne ha più ne metta. E pure una colonna sonora di tutto rispetto:
L’amalgama dell’immaginario in cui sono cresciute generazioni – e che viene, a mio avviso, erroneamente definito cultura “pop” quando è invece diventato una base culturale su cui poggiano molti riferimenti non solo per quanto riguarda l'intrattenimento – non è pasticciato, tutt’altro. È ben preparato e cotto come si deve. Una ricetta perfetta ma digerita (ahimé) così come viene mangiata. Aspettando la prossima. Che sicuramente sarà migliore.
L’amalgama dell’immaginario in cui sono cresciute generazioni – e che viene, a mio avviso, erroneamente definito cultura “pop” quando è invece diventato una base culturale su cui poggiano molti riferimenti non solo per quanto riguarda l'intrattenimento – non è pasticciato, tutt’altro. È ben preparato e cotto come si deve. Una ricetta perfetta ma digerita (ahimé) così come viene mangiata. Aspettando la prossima. Che sicuramente sarà migliore.
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